Bosnia Herzegovina – 11 Agosto Jajce – Sarajevo 146 km

gennaio 27, 2008

Ci alziamo abbastanza presto, riordiniamo la stanza e i nostri zaini, ci facciamo la doccia e recuperiamo i nostri abiti lavati. Salutiamo la padrona di casa e la sua anziana madre,  non spiccicano mezza parola di inglese ma sono molto gentili e calorose nel salutarci in bosniaco. Vediamo ancora al bar fuori dall’appartamento la signora del tourist information che ci da qualche indicazione sui posti da visitare nella zona. Ci spiega che l’Eco-Kamp, una specie di villaggio ecologico, a Sipovo, di cui ci ha parlato un ragazzo a Banja Luka non è ancora attivo e il paese in se non è nulla, quindi conferma il consiglio di andare sui Pliva Jezera, i laghi del fiume Pliva a vedere il posto e i suoi caratteristici mulini ad acqua. Distano solo una decina di kilometri quindi decidiamo di andarci. Prima però facciamo ancora un giro del paese, colazione a base di dolci tipici da un Pekara e visita alle famose cascate di Jaice.

jaice

Arriviamo al belvedere e il panorama è affascinante, la cittadella mediovale in cima al colle  e un salto d’acqua di circa 25 metri. Schiuma bianca e il fragore tipico delle grandi cascate. Facciamo un paio di foto, ci godiamo il panorama e il sole che finalmente sembra essere uscito e poi andiamo in auto nella periferia di Jajce dove vediamo case abitate ancora incredibilmente distrutte dalla guerra e un enorme cimitero musulmano con le sue bianchissime tombe.

Sulla strada vediamo una donna che raccoglie le more da una siepe e un giardino in cui sono state costruite decine di case per gli uccelli e altri piccoli animali. Con ogni tipo di materiale, legni cortecce, pezzi di lamiera e di plastica, e di ogni forma e dimensione. Come deformazione professionale non possiamo fare a meno di fermarci ad ammirarli, e fotografarli.

Dopo pochi kilometri, arriviamo a Jezero, il paesino sul lago del Pliva, c’è un piccolo caffè ed un motel, l’ambiente è molto calmo e silenzioso e il lago, più grande di quel che ci aspettassimo è circondato da una fittissima foresta. Proseguiamo per la zona dei mulini ad acqua dove troviamo un bel parco, con pochi turisti stranieri ma tanti ragazzi e famiglie bosniache che trascorrono il sabato all’aria aperta tra barbeque e risciò (non quelli asiatici ma proprio quelli che si vedono da noi al mare…).

Tra tutti ci colpisce una famiglia attorno ad un enorme palo di legno su cui è infilzato un agnello. Stanno cucinando in modo tradizionale il famoso Janjetina, il misterioso piatto di Banja Luka.  Ci fermiamo a chiacchierare con loro, per fortuna tra loro c’è un tedesco che ci racconta di come si sia anni addietro innamorato di quel posto e sia rimasto a vivere li. Ci raccontano si usano agnelli di 14 kg che vengono cucinati per 5 ore solo con del sale e che mentre aspettano trascorrono semplicemente e felicemente il tempo con gli amici e la famiglia.

janjetina

I mulini sono molto simili a quelli di Krupa Na Vrbasu, solo che sono tantissimi, almeno una ventina. Uno su ogni piccola diramazione del torrente dall’acqua gelida e trasparente. Ripartiamo alla volta di Sarajevo mentre scoppia un forte temporale e ci dispiaciamo per il barbeque di Janjetina rovinato dal maltempo. I primi 30 km di strada sono molto scenografici, costeggiamo il fiume Vrbas e il suo profondo canyon ricoperto di vegetazione rigogliosa, arriviamo a Donji Vakuf dove ci fermiamo ad ammirare una moschea bianchissima e con la cupola e la punta del minareto di un turchese vivissimo. Il contrasto dal tetto e dal minareto è davvero affascinante e rimaniamo qualche minuto ad ascoltare l’Adhan recitato dai muezzin dall’alto del minareto (in realtà viene diffuso tramite grandi altoparlanti posti sulla sua cima). Questi vocalizzi, incomprensibili, ipnotici, spirituali e un po inquietanti, sono le chiamate alla preghiera dei musulmani, recitate per cinque volte al giorno nei momenti riservati alle cinque preghiere obbligatorie (salah). Ci piacerebbe entrare nella moschea ma non ne conosciamo “l’etichetta”, se l’accesso agli “infedeli” è concesso nè sapremmo a chi chiedere anche se intorno ci sono donne col velo e uomini di ogni età dall’aspetto normale o dalla barba lunga.

Ripartiamo quindi verso Sarajevo, abbandonando il Canyon del Vrbas e salendo verso la montagna.  A circa mille metri sul livello del mare vicino a Travnik ricominciamo a scendere e il paesaggio è molto ampio e più popoloso. Dopo un’altra cinquantina di kilometri ci fermiamo a mangiare in un Pekara. Non riuscendo a comunicare con la ragazza al bancone ordiniamo a caso quello che ci ispira di più: delle specie di involtini con della carne e un tortino/formaggio acido, entrambi di pasta sfoglia ed entrambi ottimi, seppur molto unti e decisamente poco digeribili.  Ritorno dentro ed in bosniaco riesco ad ottenere il nome dell’involtino di carne, Burek s mesom o semplicemente Burek. Il cielo è ancora grigissimo e nuvoloso ma perlomeno ha smesso di piovere. Risaliamo in macchina, ci mancano ancora 70 kilometri a Sarajevo, la strada è molto trafficata e non particolarmente interessante, si susseguono paesini molto popolosi e industriali. Veniamo sorpassati da una ventina di macchine che continuano a strombazzare con il clacson, la prima ha il tetto e il lunotto posteriore completamente ricoperta di fiori e vediamo all’interno una coppia di sposi, non riusciamo però a capire di che religione siano.

Arriviamo a Sarajevo ed è molto trafficata, lo stradone principale che porta al centro ha diverse corsie ed ai lati ci sono enormi palazzoni, alcuni vecchi e poveri, come in molte periferie di tutto il mondo, con panni stesi e antenne paraboliche, altri nuovissimi tutti in vetro, di uffici e grandi aziende. All’inizio non ci piace affatto e ce ne vorremmo andare subito, ma finalmente arriviamo nel centro dove veniamo subito assaliti ad un incrocio da un tizio un po scalmanato ma gentile che ci riconosce come italiani e tra molti complimenti ci offre una stanza da affittarci a 15€ ciascuno. Accettiamo e lo seguiamo. Ci fa parcheggiare davanti ad un palazzo diroccato che è sede di un ospedale psichiatrico, di fronte ad una stazione di polizia. Ci conduce dietro al palazzo diroccato fino ad una vecchia ma graziosa villetta con un bel giardinetto. Un giovane ragazzo di Sarajevo a questo punto ci mostra la camera ed in ottimo inglese ci spiega tutto il necessario.

Dalla stanza che ha delle vecchie e ampissime finestre bianche, si vedono i tetti del centro, e le colline che circondano Sarajevo. L’uomo, con il suo fare un po scalmanato ma cortese ci informa esaltato che tutte le principali attrattive della città sono a pochi metri e ci racconta qualcosa di incomprensibile a proposito di moschee fontane cavalli e sigilli.

Ci mettiamo un po comodi poi usciamo per fare un giro della città sono circa le 5 e cerchiamo il tourist information o almeno una libreria, siccome non abbiamo ancora trovato una guida della Bosnia e non sappiamo dove muoverci.  Percorriamo il viale principale pieno di negozi con le solite marche, ma non troviamo librerie, arriviamo in una piazzetta dove ci sono dei vecchietti intorno alla caratteristica scacchiera ed un mercatino di libri. Non ci sono libri per turisti, o almeno per turisti stranieri,  sono principalmente libri di vario natura come se ne trovano in genere sulle bancarelle, i pochi libri che ci interessano sono comunque in bosniaco quindi inutili. Ci fermiamo ad acquistare un piccolo libro illustrato per bambini scritto in cirillico (sempre la solita deformazione professionale) e riusciamo a farci dire dalla ragazza alla bancarella il titolo e piu o meno di cosa parla. Decidiamo poi acquistare due piccole edizioni del Piccolo Principe di Antoine de Saint Exupery, una in bosniaco ed una ancor piu affascinante in cirillico.  Chiediamo in giro del Tourist Information, lo troviamo ma è chiuso… A questo punto possiamo esplorare la città solo con qualche informazione scaricata da internet prima di partire e con una pessima guida presa in italia in biblioteca.

Cominciamo quindi a passeggiare per il quartiere orientale di Bascarsjia, il quartiere orientale di Sarajevo, orientale nel senso che è quello situato più ad est ma anche quello che ha ricevuto la maggior influenza dall’impero Ottomano. Piccoli vicoli, in ciottolato con edifici bassi e dal sapore turco. Arriviamo nel viale principale del quartiere, la Ferhadija in cui c’è il Morica Han, il caravanserraglio, l’edificio dove pernottavano i commercianti venuti per il mercato, dove venivano immagazzinate le loro merci e dove c’erano le stalle per i loro cavalli. (ecco cosa c’entravano i 40 cavalli e cavallieri di cui parlava il tizio della camera…). Entriamo e vediamo una corte interna piena di ristoranti e cafè, un emporio di tappeti e un piccolo albergo. La folla non ci permette di immaginarci appieno l’atmosfera e la vitalità del posto alle suo origini ma ne ammiriamo l’architettura e gli arredi.

Uscendo, percorsi pochi metri arriviamo presso uno dei piu importanti monumenti Islamici della Bosnia Herzegovina, la Gazi Usrev Begova Dzamija, una moschea costruita nel 1530 dall’archittetto persiano Azem Esir Ali, distrutta nel 1697 e nuovamente nel 1879 e infine molto danneggiata durante l’ultimo conflitto del 1993. Con grande meraviglia e contentezza scopriamo che è possibile entrare a visitarla, Francesca viene rifornita di un velo dagli addetti e dopo averlo indossato entriamo. Io chiedo se è necessario togliersi le scarpe ma mi viene detto che non ce n’è bisogno. Infatti entrando da una porticina laterale notiamo che è stato steso un telo di plastica proprio per consentire ai turisti di visitare l’interno della moschea. Questo non ci rende particolarmente entusiasti ma fortunatamente poi ci viene detto che se vogliamo possiamo, ora sì, togliendoci le scarpe camminare sui magnifici tappeti che ricoprono ogni centimetro della moschea.

La prima cosa che colpisce all’interno della moschea è il silenzio e la totale assenza di immagini sacre, sostituite da infiniti disegni orientali, arabeschi e scritte coraniche che creano una fittissima trama di decorazioni delicate e coloratissime. Centinaia di sfumature contrastanti di turchese, verde smeraldo, rosa, ocra riempiono le pareti, le porte, le arcate e i soffitti e il continuo aggirarsi all’interno della moschea con lo sguardo ammirato rivolto all’insù non può non provocare un’emozionata vertigine. L’assenza di immagini religiose, dell’altare e di tutti quegli oggetti e strumenti che fanno parte della nostra eredità culturale disorienta, ma l’aria che si respira è profondamente spirituale nonostante i numerosi flash di turisti. A fianco dell’ingresso è posizionata una scarpiera per i fedeli, e delle mensole con numerosi volumi del Corano, io ogni parte della moschea sono appesi quelli che sembrano essere del tutto simili a rosari, collane fatte di perline di legno o pietra, ceramiche, perle o anche plastica, ognuna con dei caratteri arabi incisi o disegnati (scopriremo solo in seguito che quelli sono in effetti i rosari musulmani e sono composti da 99 o più grani che rappresentano i 99 nomi di Dio). Io e Francesca siamo veramente soddisfatti di esser potuti entrare a visitare la moschea anche se ci sentiamo a disagio e irrispettosi nei confronti di alcune vecchiette che inginocchiate davanti ai mihrab (le nicchie della preghiera, presenti in ogni parete) stanno silenziosamente pregando con il loro carattestico movimento ondulatorio fatto di inchini. Mentre usciamo non riesco a fare a meno di guardare Francesca in questa nuova veste e divertito la prendo in giro ma allo stesso tempo riflettiamo a lungo sulle motivazioni del velo e del rapporto della donna nella società islamica. Inoltre non posso fare a meno di notare quanto risulti bellissima e particolarmente sensuale mentre in realtà il velo dovrebbe ripararla da sguardi ed intenzioni pericolose..

Nello spiazzo della moschea c’è la fontana ottagonale per le abluzioni rituali, con il tetto in legno intarsiato e il piccolo edificio con i lavatoi con l’acqua calda per le abluzioni invernali. In un via vai incredibile di fedeli e di turisti ritorniamo sulla Ferhadija ed entriamo nella madrassa proprio di fronte, la Husrev Beg Medresa, una antica scuola islamica risalente al 1537. All’interno delle numerose salette con i comignoli ottagonali è presente una mostra d’arte contemporanea quindi nel giro di pochi minuti ritorniamo sulla strada.

In una piazzetta dove ci sono alcuni ristoranti vediamo un museo di guerra, presenta diversi reperti sia dell’ultima guerra che armi e oggetti più antichi. Pur riconoscendo l’utilità economica di quel piccolo museo, non ci piace rimanere a curiosare tra i cimeli e troviamo schifosamente turistico e di cattivo gusto il fatto che molti turisti si facciano fotografare sorridenti tra le bombe o qualche bambino prende in mano eccitato i fucili.

Ci immettiamo nei vicoli degli artigiani, Kazandziluk Ulica, ed ovunque ci sono piccoli negozietti che espongono pezzi di artigianato locale,  innanzitutto oggetti in rame, pentoloni, caffettiere, vassoi e tazzine e placche con incisi panorami e scorci di sarajevo. Vediamo inoltre tessuti, tappeti, scacchiere, gioielli e tanti souvenir e infine strumenti musicali tipici. A questo punto non possiamo fare a meno di acquistare qualcosa che potremo poi mostrare ai nostri bambini. Ci fermiamo a chiacchierare con due anziani proprietari di un negozietto, in un misto di bosniaco, inglese e tedesco e ci spiegano che quella specie di mandolino esposto ha origini turche e si chiama Sargjia mentre i pifferi che si vedono ovunque sono i Frula. Dopo una breve trattativa acquistiamo la Sargjia e un Dvoynice, praticametne un piffero doppio.

Durante la spiegazione uno dei due vede che non so dove buttare la pannocchia bollita che avevo acquistato poco prima (nei vicoli ci sono carretti che ne vendono ogni 100 metri) e gentilmente me la toglie di mano, lo ringrazio solo per vedere che si sposta di pochi metri e la butta in terra…

Contenti del nostro acquisto proseguiemo il nostro giro e finalmente arriviamo nella piazza principale, la Bascarsija. Oltre a numerosi locali e qualche bancarella di frutta, nella piazza c’è una vecchia moschea del 1526, contornata di botteghe e il Brusa Bezistan, il vecchio mercato coperto, con le sue sei cupole, del 1551, oggi sede di mostre. e la famosissima Sebilj, una meravigliosa fontana, con la pianta ottagonale e un disegno pseudo orientale costruita nel 1891, che è diventata il simbolo della città, anche perchè la leggenda dice che chi beve la sua freschissima e pulitissima acqua ritornerà a Sarajevo. Illuminata di notte completa a perfeziona questa piazzetta piena di vita.

Sebjli Fountain

Poco oltre c’è la vecchia libreria nazionale, del 1892, che sorge sulle sponde del fiume che attraversa Sarajevo, il Miljacka, ed è stata distrutta dalla guerra esattamente 100 anni dopo la sua costruzione. Purtroppo non è ancora stata ultimata la ricostruzione tuttavia ha mantiene un fascino particolare. Si è fatto buio quindi ritorniamo indietro e cominciamo a cercare un posto dove cenare. Di sicuro essendo a Sarajevo e nel centro della città vecchia, ed essendo strapieno di turisti, moltissimi gli italiani, cosa a cui non siamo stati abituati nei giorni precedenti, siamo sicuri che andremo a spendere troppo quindi vaghiamo nei vicoli in cerca di qualche bel posticino isolato, tradizionale e conveniente.  Alla fine ricapitiamo nella piazza della Sebilj e decidiamo di fermarci nel primo locale che sembra più conveniente. La Fra ordina una zuppa con verdura e carne di manzo mentre io ordino un Cevapi, delle salsiccette di manzo e agnello con pita e cipolla. Constatiamo quanto sia difficile trovare un piatto che non contenga carne ma anche quanto la carne sia sempre e ovunque buona e tenera. Terminata la cena ritorniamo nella nostra camera e ci addormentiamo subito.

8 Risposte to “Bosnia Herzegovina – 11 Agosto Jajce – Sarajevo 146 km”

  1. Anonimo Says:

    wow jajce è la città dove sono nato! posso sapere chi o cosa vi ha spinto ad adare proprio in bosnia??? ciao ciao 🙂

  2. equilibrismi Says:

    ciao a te! come scritto nell’introduzione al viaggio, ci siamo capitati un po per caso. Cercavamo una nazione non battuta dal turismo di massa e possibilmente accessibile con “poche” ore di macchina e con pochi quattrini. Ma dopo esserci informati un po abbiamo scoperto quanto la Bosnia fosse sottovalutata e affascinante e si è rivelato uno dei viaggi più belli ed intensi degli ultimi anni.

  3. stellina Says:

    ciao!!! finalmente qualcuno che apprezza questa bellissima terra !!!! complimenti!!!
    p.s. anche io sono da jajce!!!

  4. gianni Says:

    Avevo già intenzione di recarmi in bosnia quest’estate ad agosto, il vostro racconto mi ha convinto ancora di più. Le temperature come sono a sarajevo?

  5. equilibrismi Says:

    mi fa piacere che nostro racconto ti abbia invogliato ancora di piu a visitare la bosnia. X noi è stata davvero una piacevole sorpresa trovare dei posti cosi belli in una nazione cosi sottovalutata.
    Riguardo al clima e alle temperature, non saprei molto dirti xè siamo stati un po sfortunati e abbiam spesso trovato brutto. Cmq di sicuro non fa freddo, una giacca vento e un paio di pile dovrebbero bastare. In Herzegovina invece decisamente caldo, noi a Mostar abbiamo trovato quasi 40 gradi.
    Ciao e buon viaggio

  6. Anonimo Says:

    la bosnia è favolosaaaa

  7. enes Says:

    bell raconto di cose belle ti prego raconta la ai tuoi amici a voce jajce e casa mia


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    this moment i am reading this wonderful informative article here at my residence.


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